mercoledì 4 maggio 2011

Sull'Unità. I 150 anni visti da noi

"Per me l'unità è qualcosa che più ce n'è meglio è!". ((Nunzia e Lucia)

"Per me l'unità d'Italia è come se non esistesse perchè, solo quando festeggiai i 150 anni, mi resi conto che esisteva". (Maria Senescente)

"Per me l'unità rappresenta l'uguglianza tra persone unite sotto il nostro tricolore". (Saverio Santoriello)

"Per me l'unità significa aiutarsi a vicenda, sostenere le stesse idee, avere uno stesso obiettivo per raggiungere una meta.
Per me l'unità è in un certo senso come avere una grande famiglia, far parte di uno stesso nucleo. Aver raggiunto l'unità equivale a far battere un solo cuore che rappresenta tutti quelli che ne fanno parte". (Gerardina Trifone) 

"Io penso che l'unità non si dimostra solo quando si celebrano i suoi 150 anni, ma ogni giorno". (Antonella Giannattasio)

"Per me questa storia dell'unità d'Italia è vera e anche giusta, perché può dare una speranza per cambiare la nostra Italia in  seno buono. I festeggiamenti sono speranza per una vita che verrà".

"L'unità d'Italia è essere cittadini di una stessa nazione unita". (Grazia Pisani) 

"Per me l'unità d'Italia rappresenta creare uno Stato libeo dal dominio straniero. Sono orgogliosa di essere italiana per le tradizioni che sono rimaste fino ad oggi, che festeggiamo 150 anni. Penso che dovremo essere grati a Carlo Alberto, Cavour e soprattutto Garibaldi". (Alessandra Pierri)

"L'unità d'Italia è essere cittadini uniti, avendo uno stesso Stato come origine. E quindi per me far parte di una stessa nazione unita". (Rachele Tessitore)




giovedì 14 aprile 2011

Cultura - Mancino chiama Dorso



Per festeggiare i 150° anni dell’unità d’Italia domani 15 aprile, presso al chiesa del Carmine di Avellino, Nicola Mancino terrà una lectio magistralis sulla figura e sulle opere di Giudo Dorso. Il ritratto della vita e del pensiero di Dorso offrono ai giovani importanti spunti di riflessione sull’orizzonte morale, lo spessore culturale e la coscienza critica del nostro tempo. Infatti la lezione del meridionalista irpino è un invito al superamento dell’opportunismo proprio di una parte della politica, per il recupero di uno slancio ideale e di un rigore intellettuale nell’impegno pubblico, come principale percorso per la crescita della società civile.

Gerardina Trifone

sabato 2 aprile 2011

L'istituto alberghiero di Montoro a scuola di costituzione con il giudice Imposimato

Continuano le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. L'Aiga di Avellino ha organizzato per martedì 5 aprile, alle ore 10.30, presso l’Aula Magna dell’Istituto Alberghiero "Manlio Rossi Doria" a Montoro Inferiore, il convegno dal titolo “I valori della Costituzione Repubblicana nel 150° anniversario dell’Unità nazionale”.
L’apertura dei lavori è affidata al dirigente scolastico dell’Ippsar Mario Esposito. Seguiranno i saluti istituzionali del dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Avellino, Rosa Grano, del sindaco di Montoro Ingeriore, Salvatore Carratù; del sindaco di Montoro Superiore Francesco de Giovanni; dell’assessore città di Mercato San Severino Eduardo Caliano.
Oltre alla partecipazione del Presidente dell’Aiga Avellino, l’avvocato Walter Mauriello, interverranno Antonio Tucci, docente di sociologia del diritto presso l’Università degli Studi di Salerno, Saverio Festa, docente Storia della filosofia politica presso l’Università degli Studi di Salerno, e il magistrato Ferdinando Imposimato.

giovedì 24 marzo 2011

Storia - Il tricolore

Il tricolore italiano
La bandiera della repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni. Il tricolore non è una semplice insegna di Stato, è la libertà conquistata dal popolo che si riconosce unito, che trova la sua identità nei principi di fratellanza, di eguaglianza e di giustizia. I colori della bandiera italiana fanno la loro comparsa nel 1796 per opera di Napoleone che li adotta come vessillo della Legione Lombarda della Repubblica Transpadana, non si tratta però di una vera e propria bandiera nazionale. Soltanto l'anno dopo, nel 1797, con l'occupazione francese dell'Emilia Romagna il tricolore bianco, rosso e verde viene scelto come bandiera della nascente Repubblica Cispadana. Rispetto alla precedente bandiera le bande colorate sono orizzontali con al centro una faretra con quattro frecce e la sigla R.C. (Repubblica Cispadana).
La disposizione del tricolore cambia ancora una volta nel 1802, quando la Repubblica Cispadana prende il nome di Repubblica Italiana. Le strisce sono sostituite da tre quadrati, rosso bianco e verde, disposti l'uno dentro l'altro. Nel 1805 i territori del nord Italia sono ribattezzati Regno Italico e anche la bandiera viene a sua volta parzialmente modificata nella disposizione dei colori. Con il Congresso di Vienna del 1815 e la scomparsa di Napoleone dalla scena europea, il tricolore cade in oblio. Riappare nel 1831 con la Giovane Italia di Giuseppe Mazzini nella versione a bande verticali che ancora oggi conosciamo. Fatta eccezione per lievi modifiche alle tonalità dei colori e per la presenza dello stemma Savoia o della Repubblica Sociale al centro della banda bianca, la bandiera non cambia più il suo aspetto giungendo quasi intatta fino ai giorni nostri.

Pantaleone Martella

martedì 15 marzo 2011

Attualità - I giovani da Napolitano per l'unità d'italia

Il presidente Giorgio Napolitano

In occasione dei 150 anni dell’unità il Coordinamento Provinciale dei Forum Comunali della Gioventù sarà a Roma giovedì 17 marzo per partecipare all’iniziativa del Forum Nazionale dei Giovani 2corri per unire”, che avrà luogo a Roma nella mattinata.
Si partirà da villa Pamphili, il corteo poi si dirigerà verso l’area del Granicolo, dove alcuni di essi potranno consegnare la bandiera italiana ed un messaggio al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
“Con questo gesto simbolico si richiede alle istituzioni un impegno concreto – afferma Pellegrino Guerriero, presidente del coordinamento – per dar vita alle riforme necessarie per favorire il benessere dei giovani italiani, considerando soprattutto il livello allarmante di disoccupazione giovanile”.

Rachele Tessitore
Antonella Giannattasio
Grazia Pisani

Tecnologia - In piazza con il Wi-Fi

Il 17 marzo prossimo, su iniziativa  dell'assessore alla Cultura del Comune di Bonito David Ardito, il paese in provincia di Avellino fornirà ai propri abitanti un'area wi-fi gratuita, occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia. In pratica tutti saranno liberi di poter connettersi a internet gratuitamente. "L'idea è di potenziare la diffusione della conoscenza e facilitare l'uso della rete per i cittadini di tutte le età e di ogni ceto sociale. - afferma Ardito - Ci stiamo attrezzando per superare il divario digitale che è presente nelle piccole comunità e stiamo lavorando per portare la copertura Wi Max nel nostro territorio".


Fortunata Fortunato
Michela Landi 

Storia - Briganti si diventa

Il distacco che c’era tra nord e il sud si manifestò in una forma gravissima sin dall’inizio dei primi giorni dell’unità d’Italia con un fenomeno che travolse l’intero meridione tra il 1861 ed il 1865: il brigantaggio. Il brigantaggio è un fenomeno che interessava le bande armate presenti nel mezzogiorno verso la fine del XVIII secolo  e il primo decennio del 1800, fino alla proclamazione del regno d’Italia. L’attività brigantesca fu duramente repressa in epoca napoleonica e borbonica, sviluppandosi durante e subito il processo di unificazione d’Italia. In questa fase storica i gruppi di braccianti ed ex militari borbonici si contrapposero alle truppe del nuovo Stato Italiano.
Le cause di questo fenomeno erano molto antiche e profonde ma la delusione creata dal passaggio garibaldino era la prima. Così la situazione si aggravò dopo la vendita all’asta dei beni demaniali e quelli ecclesiastici: quelli che compravano ciò erano la borghesia che stava diventando sempre più tirannica.
L’aggravarsi delle condizioni dei contadini  causò la ripresa dei disordini  che in pochi mesi presero le dimensioni di una guerriglia. Nell’estate del 1861 in Calabria, Basilicata, Campania e Puglia le bande armate dei briganti iniziarono a rapinare, uccidere, sequestrare ed incendiare le proprietà dei nuovi ricchi.
I briganti si rifugiavano  nelle montagne ed erano protetti e  nascosti dai poveri contadini, ma in parte ricevettero aiuto anche dal clero e dagli antichi proprietari delle terre che tentavano di fare ritornare i Borboni.
A ribellarsi erano braccianti, contadini esasperati dalla miseria; accanto a loro lottarono anche gli ex garibaldini, ex soldati borbonici e molte donne spietate come gli uomini.
I contadini meridionali non avevano ancora maturato una conoscenza politica  dei loro diritti e non riuscivano ad immaginare  nessuna prospettiva  di cambiamento attraverso i mezzi legali. Così questa sfiducia  di protesta e di lotta fu il nucleo della questione meridionale.
Lo stato Italiano al fenomeno del brigantaggio rispose con una vera e propria  guerra a questa rivolta sociale. Nel 1865 il brigantaggio venne sconfitto. Così lo Stato aveva vinto la  guerra ma compiendo proprio gli errori che Cavour aveva cercato di scongiurare.    

Pierri Alessandra
Fortunata Fortunato

Attualità - Schifani inaugura il nuovo carcere borbonico

Il presidente del Senato Renato Schifani

Per celebrare i 150 anni d’Italia ieri si è recato in visita ad Avellino il presidente del Senato Renato Schifani. Per l’occasione è stata inaugurata la struttura del carcere, dopo oltre vent’anni di lavori di restauro, e al suo interno il museo del Risorgimento, che ripercorre le tappe della storia irpina. È stato inoltre presentato il volume “Carcere Borbonico. Passato e futuro”, edito da De Angelis Art. La pubblicazione della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Salerno e Avellino, diretta dal soprintendente Gennaro Miccio, è stata curata da Cinzia Vitale, architetto della Soprintendenza BAP, che ha seguito anche i lavori di restauro dell’intero complesso.
Il volume racconta un percorso di recupero durato oltre vent’anni e che si conclude con la consegna all’Amministrazione Provinciale degli ultimi locali restaurati.L’importanza dell’opera e del restauro compiuto obbliga le varie amministrazioni chiamate a gestire questo prezioso bene ad attivare le giuste forme di valorizzazione di questa struttura per la cultura che oggi riconsegniamo alla collettività. – afferma il soprintendente - Questi sentimenti, siamo  certi ripagano, gli sforzi assunti da chi, per conto di questa Soprintendenza, si è assunto l’onere di soddisfare le aspettative e le istanze della comunità culturale cittadina ed al quale a chi scrive non resta che esprimere i sensi del più convinto apprezzamento e ringraziamento per l’opera svolta”.

Gaetano D’Auria 

In cucina - La scienza di Artusi

Il libro di Artusi
“La scienza in cucina” di Pellegrino Artusi rappresenta il libro più famoso nella cucina italiana, quello da cui i grandi cuochi del secolo hanno tratto suggerimenti. Esso costituisce un vero e proprio spartiacque nella gastronomia dell’epoca per l’originalità e l’uso innovativo di alcuni prodotti. A lui il merito di aver valorizzato le tradizioni regionali e di aver contribuito alla creazione di una tradizione gastronomica nazionale. Creò un’originale cucina sperimentale dove, con l'assistenza di alcuni esperti del settore, provò e riprovò varie ricette, raccogliendo appunti, idee, aneddoti e riflessioni.
Il ricettario, pubblicato a proprie spese, è composto da 790 ricette, dai brodi ai liquori, passando attraverso minestre, antipasti, secondi e dolci. L’opera conquistò il pubblico, tanto da diventare dopo numerose ristampe il testo gastronomico dell’Italia unita.
Influenzato dagli ideali borghesi di decoro, moderazione e buon gusto, Artusi ebbe il grande merito di proporre un modello di cucina nazionale ed “economica”, che tra le tante ricette proponeva: crostini di fegatini di pollo, spaghetti col pomodoro, gnocchi, risotto alla milanese, vitello tonnato, scaloppine al marsala, crostate di frutta e zuppa inglese, sono alcuni dei piatti che Artusi riuscì ad imporre dal Piemonte alla Sicilia come “piatti nazionali”. Mangiare bene è un’arte e Artusi lo aveva compreso pienamente unendo a tavola tutta l’Italia.



Ricetta: gelatina di fragola in gelo
Ingredienti:
fragole molto rosse e ben mature                gr 300
zucchero                                                      gr 200
colla di pesce                                                gr 20
acqua                                                            dl 3
rhum                                                             3 cucchiaiate
l’agro di un limone   
Procedimento:
Strizzate le fragole in panno di cotone per estrarne tutto il sugo. Fate bollire lo zucchero per 10 minuti in due decilitri della detta acqua e questo sciroppo unitelo al sugo delle fragole; aggiungete il limone e tornate a passare il tutto da panno fitto. Alla colla di pesce, dopo averla tenuta in molle come quella del numero precedente, fate spiccare il bollore nel rimanente decilitro d’acqua e versatela cosi bollente nel predetto miscuglio; aggiungete per ultimo il rhum,mescolate e versate il composto nello stampo per metterlo in gelo. Questa gelatina sarà molto gradita dalle signore.



Nunzia Carratù
Lucia Rinaldi
Antonietta Orvieto

In cucina - La torta di Mazzini

 

Nel 1835 dall’esilio svizzero Giuseppe Mazzini inviò un affettuosa lettera alla madre Maria Drago. Contenuto nella missiva la ricetta di una torta alla mandorle, la preferita dal grande genovese,padre degli ideali e dei movimenti repubblicani del Risorgimento: “Eccovi la ricetta di quel dolce che vorrei faceste e provaste, perché a me piace assai” si legge nel brano citato dal volume “Provincia Risorgimentale”.


Torta di Mazzini 

- pasta sfoglia
- 3 once (circa 100 gr) di mandorle spellate
- 3 once di zucchero
- 1 limone
- 2 uova

Esecuzione
Togliete la pellicina alle mandorle immergendole per qualche minuto in acqua bollente; dopo averle fatte asciugare bene, pestatele o tritatele finemente con lo zucchero; sbattete i tuorli con il succo del limone e uniteli al miscuglio di mandorle e zucchero; infine aggiungete mescolando con attenzione gli albumi montati a neve. Riempite con questo composto una tortiera foderata con la pasta sfoglia, cospargete di zucchero e cuocete a forno moderato per 35-40 minuti.

Daniele Cerrato

giovedì 10 marzo 2011

Il Gran bollito del re

Vittorio Emanuele II
 
Vittorio Emanuele II, quando era Principe di Savoia in attesa del trono, scappava dalla Corte di Torino  e per andare a Moncalvo, per la caccia, per gli  amori con villane accondiscendenti e fare con gli amici allegre mangiate di Bollito, accompagnato da fiumi di Barbera. La ricetta del Gran Bollito Piemontese, tra i piatti simbolo del Risorgimento, si presenta abbastanza laboriosa. Occorre anzitutto “un soggetto adatto”: vitello di razza piemontese. La carne, ben frollata, va cotta tutta insieme, immergendola in acqua già bollente, poco salata, con dentro un bouquet di spezie e odori tra cui: rosmarino, aglio, lauro, sedano, cipolla, gambi di prezzemolo, e tirata su al momento del servizio. La preparazione di base si compone di sette tagli: groppa o capocollo o tenerone, gamba o stinco, pancia o scaramella o biancostato o grasso-magro, culatta, cappello da prete o «arrosto della vena» o sottopaletta, punta col suo fiocco, infine la Rolata «copertina di petto arrotolata e legata su un ripieno di lardo o prosciutto, salame cotto, due uova e una carota intere, erbe aromatiche e pepe, che viene poi tagliata a fette». In pentole diverse si cuociono invece i sette sostegni o ornamenti – anch’essi fatti di carne. In oltre vengono usate come accompagnamento salsa verde, salsa rossa, salsa di miele, cogna’ o salsa al rafano o cren, le mostarde più o meno piccanti di Cremona o di Voghera e la Senape servono ad insaporire un piatto che già non è sciapo di suo; ma, a stimolare i succhi gastrici. Sono loro che fanno il vero Bollito tipico - vale a dire la testina «completa di musetto, orecchio ed occhio, bocconi del buongustaio», la lingua, lo zampino, la coda. Per un piatto così viene consigliato un vino Barbera  possibilmente giovane. Dopo tanto bollito credo che un bel buon dolce sia d’obbligo.

Saverio Santoriello

In cucina - La pizza tricolore

 

La pizza prende il nome dalla regina Margherita di Savoia. Nel lontano 1889 in una serata a Palazzo Capodimonte a Napoli, fu preparata da  Raffaelle Esposito. La Regina fu entusiasta sia per il sapore sia per i colori: bianco, rosso e verde. Occorre però precisare, che la pizza tricolore non fu inventata in quell’occasione, bensì tempo addietro, tanto che ne era ghiottissima già la borbonica Regina Carolina.
La pizza è senza dubbio nata a Napoli. Da sempre tanti illustri personaggi hanno discusso sulle sue origini. La pizza dedicata alla regina ha conquistato il mondo con pieno merito, mantenendo ovunque la sua denominazione originaria senza significativi cambiamenti.
La sua antenata più vicina è la 'Schiacciata', ma resta beninteso che si trattava solo di un primo rudimentale sistema di panificazione. Fin da subito fu evidente il bisogno di ritoccarne il sapore. Col tempo, grazie all’ingegno e alla fantasia napoletana, si aggiunse al semplice impasto la presenza dei condimenti come l'olio e lo strutto animale, che modificò il semplice gusto dato dall'acqua e farina, così da creare la cosiddetta focaccia non lievitata. In seguito si aggiunse il lievito, facendo sì che l'impasto, dopo alcune ore di crescita e pronto per la cottura, fosse più morbido e facile da digerire. Verso la fine del 1500 fu importato in Italia, attraverso la Spagna, il pomodoro proveniente dal Perù.
Benché si tratti ormai di un prodotto diffuso in quasi tutto il mondo, la pizza è generalmente considerata un piatto originario della cucina italiana ed in particolar modo napoletana. Amatissima in molti paesi, rappresenta il simbolo della cucina italiana nel mondo.
La vera e propria origine della pizza è tuttavia argomento controverso: oltre a Napoli altre città ne rivendicano la paternità. Esiste, del resto, anche un significato più ampio del termine "pizza". Infatti, trattandosi in ultima analisi di una particolare specie di pane o focaccia, la pizza si presenta in innumerevoli varietà, cambiando nome e caratteristiche a seconda delle diverse tradizioni locali. In particolare, in alcune aree dell'Italia centrale, viene chiamata "pizza" qualsiasi tipo di torta cotta al forno, salata o dolce e alta o bassa che sia. La  vera pizza napoletana invece richiede un forno a legna e si presenta con la caratteristica forma circolare.

Luigi Zappullo

mercoledì 9 marzo 2011

Musica - Mameli e l'inno all'Italia

Ritratto di Goffredo Mameli

Quest'anno l'Italia compie 130 anni ed uno dei suoi più noti comici, Roberto Benigni, ha voluto dal palco di Sanremo parlare dell'inno che da sempre rappresenta l'Italia, composto nel 1846 da un giovane di soli vent'anni, Goffredo Mameli. Con la sua consueta ironia il comico toscano racconta dell'Italia cose importanti, ad esempio ci dice da dove sono nati i colori della bandiera italiana, facendo riferimento alla poesia di Dante Alighieri nella parte in cui dice che Beatrice, la donna amata, aveva un manto di colre verde, vestita con un color fiamma, rosso vivo, e si presentava con velo bianco candido. Verde, bianco e rosso: questi appunto i colori della bandiera. Poi Benigni ci racconta che per scegliere l'inno Cavour, Mazzini e Garibaldi si unirono con altri intellettuali fino a scegliere Mameli come paroliere e con la musica di Michele Novaro. L'inno di Mameli fu adottato provvisoriamente nel 1946 e definitivamente il 17 novembre 2005, dopo un secolo e mezzo. quest'inno venne cantato durante le 5 giornate di Milano dagli insorti e in breve tempo divelle la colonna sonora del Risorgimento, cantato a squarciagola da tutti coloro che lottavano per un'Italia unita.
quando l'inno si diffuso le autorità cercarono di vietarlo ma fallirono, allora tentarono di censurare l'ultimo passo, duro con gli Austriaci, ma neppure questo tentativo riuscì.
Dopo la dichiarazione di guerra all'Austria, anche le bande militari lo suonarono, tanto che il re dovette ritirare ogni censura. "Fratelli d'Italia" risuona alle partite dei mondiali di calcio, cantato da caciatori e tifosi, e oggi riesce veramente ad esprimere a pieno il sentimento della nazione, che deriva da una lunga storia comune che spinge verso l'unione e l'amore per la propria patria. Questo canto è l'inno nazionale della Repubblica, nonostante ci siano stati tentativi di sostituirlo con "La canzone del Piave" o altri come "Va Pensiero".
Alessandra Pierri



lunedì 28 febbraio 2011

Storia - L'Italia è femmina

     Anita Garibaldi




Il contributo delle donne nel Risorgimento è stato frequentemente sottovalutato. In realtà esse hanno svolto un ruolo da protagoniste, impegnandosi in vari modi, anche a rischio della loro vita, per promuovere gli ideali risorgimentali. Appartenenti ha diverse estrazioni sociali, si dimostrarono volitive, determinate, con idee e progetti da costruire, impegnate non solo nelle cospirazioni ma anche nelle vere e proprie battaglie, in gere con funzioni di organizzatrici e infermiere.
Una delle tante eroine del Risorgimento fu Anita Garibaldi e non solo per il grande cognome del marito. "L'eroina dei due mondi", così come veniva chiamata, fu una di quelle che imbracciò il fucile, combattendo come un uomo per sotenere il fuoco avversario.




Giuseppe e Anita Garibaldi in fuga dopo la fine della Repubblica Romana (1849)




Se gli uomini del Risorgimento furono i protagonisti dell'unione politica del Paese, le donne, nell'ombra, operarono per costruire l'unità sociale e culturale della nuova e giovane Italia. Con grande coraggio avviarono la prima riflessione sulla condizione femminile e con il contributo dei primi giornali femministi, cominciarono ad elaborare una nuova libertà della donna più consapevole.
Tra queste donne c'era anche Cristina Trivulgio Belgiojoso, una patriota italiana, ch partecipò attivamente al Risorgimento. Fu editrice di giornali rivoluzionari, scrittrice e giornalista. Un commento che proprio quest'ultima scrive è degno di essere letto: "Vogliono le donne felici ed onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto tratto il pensiero ai dolori ed alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono le vie alla non mai prima goduta, forse appena sognata, felicità".



Gerardina Trifone

giovedì 24 febbraio 2011

Cinema - Il Risorgimento visto dal grande schermo

La locandina di “Senso”, regia di Luchino Visconti


“Noi credevamo” di Mario Martore è un famoso film tra i più recenti che parlano del Risorgimento italiano. Questa pellicola drammatico che parla di un’ Italia da sempre divisa in due e dello scontro tra autoritarismo e democrazia, osserva gli esiti del processo che ha portato all’unità d’Italia. A raccontare il Risorgimento e i valori che portava con sé anche “Senso” di Luchino Visconti, un film ambientato durante la guerra italo-austriaca del 1866. Nella pellicola una contessa veneta tradisce la causa della liberazione nazionale per amore di un vile ufficiale austriaco.
Infine un'altra pellicola molto conosciuta “Nell’anno del Signore” di Luigi Magni, con  Nino Manfredi, Alberto Sordi e Claudia Cardinale la cui trama,che è tratta da una storia vera, narra dell’esecuzione capitale di due carbonari nella Roma papalina. I due rivoluzionari, Leonida Montanari, romano, e Angelo Targhino, modenese, hanno infatti accoltellato un loro adepto di famiglia nobile che minacciava di svelare i segreti della Carboneria, per questo motivo vengono poi condannati alla ghigliottina in piazza del Popolo.
Grazia Pisano
Rachele Tessitore
Antonella Giannattasio

Costume - Vestire nel XIX secolo

Abito femminile del XIX secolo

Cappello femminile
Vanitose, frivole e attente all’aspetto fisico. Le donne dell’Ottocento passavano molto tempo a curare la propria immagine. Le donne della ricca borghesia e quelle aristocratiche indossavano gonne "a cupola", con corpetto "a scollo sciallato" a maniche a tre quarti, guarnite da volant. I capelli venivano portati raccolti con boccoli (gli "anglaises") lasciati cadere sulle orecchie. Molto diffusi anche le chiome arricciate a "nodo di giraffa".
La moda Secondo Impero è quella della corte dell' imperatrice Eugenia.
Queste dame dell’Ottocento, desiderose di apparire belle in pubblico e di conquistare il cuore dei loro pretendenti, acconciavano i capelli con la scriminatura centrale, portati sciolti lungo il viso, raccolti dietro da chignon bassi.
La gonna "a campana" piena di fiocchi, nastri, fiori, viene dilatata grazie a crinoline (una sottogonna rigida che sosteneva e rendeva gonfie le gonne).L'abito davanti era molto semplice, raccogliendo l'ampiezza sul centro posteriore, rigonfio e ornato di pizzi, grossi nodi di stoffa e merletti.
Nel 1885 venne lanciato il primo costume tailleur cioè un indumento completo composto da due pezzi da una giacca e da una gonna o da pantaloni, indossato dalla principessa del Galles.
I cappelli di fine Ottocento erano bizzarri  e fantasiosi con veli, piume, uccelli, persino frutta e verdura. L’abbigliamento era arricchito da vari accessori come: ventagli di piume di struzzo, guanti e ombrellini, indispensabili mancare nell'abbigliamento di una dama dell’Ottocento.
Molto più semplice invece l’abbigliamento maschile. Dato che la nuove etica borghese del lavoro esigeva una certa serietà anche nel vestire, l’uomo indossava l’uniforme borghese, cioè giacca, gilet e pantaloni scuri, mentre la donna, più libera dagli impegni quotidiani, vestiva abiti scomodi, voluminosi e costosi, per mettere in evidenza le buone condizioni economiche  che le permetteva il marito.
I pantaloni cadevano tesi, trattenuti da una staffa da inserire sotto al piede. Diffuso l'uso del cilindro, i baffetti e la cravatta che sarà l'unico tocco di colore contrapposto all'abito nero borghese. Diffusissimi i soprabiti come il "Carrick", lungo fino ai piedi, in gran voga ai primi dell'Ottocento, caratterizzato da più baveri sovrapposti a forma di mantellina.

Nunzia Carratù
Lucia Rinaldi
Maria Senescente
Antonietta Orvieto

giovedì 17 febbraio 2011

In cucina - La tavola che ha unito l’Italia


 
Fin dal 29 luglio 1953 la cucina italiana prendeva un posto importante nella storia e nella cultura, infatti fu creata “l’accademia italiana della cucina”, fondata a Milano nell’Hotel Diana. Anche se negli anni passati gran parte della popolazione aveva problemi di sussistenza  e il privilegio  di scegliere cosa e come mangiare era riservato a poche persone. L’elemento più rappresentativo della nostra della nostra nazione  sono  i piatti e le tradizioni italiane. Ed è proprio al celebre “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi si deve l’unità d’Italia  in cucina, visto che molti piatti descritti dall’Arturisi sono frutto di un mix delle diverse esperienze regionali  che oggi sono il simbolo del nostro paese. In un momento di grande diffusione della cucina esotica, si conferma la voglia  di una cucina autenticamente sana, in puro stile mediterraneo. Perché è alta la fiducia  dei consumatori  nei confronti del Made in Italy  e c’è  bisogno della garanzia  della bontà, della freschezza e dei  maggiori  controlli. Una cucina  italiana intesa come modello unitario non è mai esistita ma piuttosto unita da diversi generi e tradizioni. 

Alessandra Pierri 
Michela Landi

In cucina - L'eroe dell'unità: il Marsala

Fu il Marsala a salvare l’unità d’Italia. Come? Era l’11 maggio 1860, quando i Borbonici e i Garibaldini si trovarono al porto di Marsala. L’esercito napoletano era pronto a fare fuoco con i propri cannoni sulle navi garibaldine: il Piemonte e il Lombardo, ma un evento imprevisto evitò la carneficina. Al porto di Marsala oltre ai Borbonici e i Garibaldini c’erano anche gli Inglesi ed è stato proprio grazie a loro che oggi esiste l’unità d’Italia, perché l’esercito napoletano non volendo colpire le navi inglesi, mentre caricavano il Marsala per importarlo altrove, decisero di riporre le loro armi. Una volta unita l’Italia, Garibaldi decise di risalire fino a Roma per liberarla. Quando arrivò nella città chiese di assaggiare il vino che aveva reso molto famosa questa città. Rimase colpito dal sapore dolce di una qualità ancora in lavorazione tanto che in suo onore  quel vino fu chiamato “Garibaldi dolce”.

Carmen Orsini
Gerardina Trifone
Antonella Giannattasio

Musica - “Addio mia bella addio”




“Addio mia bella addio”. Queste  parole risuonavano sulle bocche dei volontari che nel 1848 partivano per il fronte per unire l Italia. Il canto di Bosi, nato durante il Risorgimento italiano,  in seguito entrò a far parte della tradizione popolare, cantato poi in tutte le guerre che seguirono. I soldati si aiutavano e incoraggiavano con la musica che costituiva per tutti un linguaggio comune e non si badava molto all’origine borbonica o papalina dei compositori di quei tempi.
A esaltare gli animi dei combattenti e del popolo che lottava per un Italia unita c’era anche la musica di Verdi.
Nel 1847 a Londra il noto musicista  incontra Giuseppe Mazzini che lo invita a comporre un inno con i versi di Goffredo Mameli , “Suona la tromba”. Ad esso segue  “La battaglia di Legnano”, dove l’espulsione di Federico Barbarossa simboleggia la cacciata, da parte degli italiani, degli stranieri dal paese. Quando però i movimenti rivoluzionari del 1848 sfociano in un bagno di sangue e l unità sembra un obiettivo lontano, Verdi si allontanerà dalla linea di battaglia e tornerà ad essere, soltanto un compositore che continua a sperare in privato nella libertà nazionale però in realtà lasciando il campo di battaglia resta solo un eroe a metà.

Rachele Tessitore
Grazia Pisani

sabato 12 febbraio 2011

Cultura - De Sanctis e l’Unità d’ Italia: a Roma i manoscritti inediti

Nell’occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia torna a rivivere tra noi Francesco  De Sanctis, un’illustre rappresentante irpino della cultura italiana del XIX secolo.  Nella sua vita è stato uno scrittore e critico letterario, dal 22 febbraio 2011 le sue opere  verranno esposte a Roma, nel palazzo del Quirinale. In mostra manoscritti inediti nell’esposizione “Viaggio tra i capolavori della letteratura italiana, Francesco De Sanctis e l’Unità d’Italia”. L’esposizione seguirà una suddivisione cronologica dalla poesia delle origini duecentesche a Dante, Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, Ariosto,Tasso fino a  Leopardi. 

Saverio Santoriello
Gerardo Picarella

In cucina - L'unità in un calice di vino

 
Sarà presentata al prossimo Vinitaly dal 7 al 11 aprile 2011 a Verona “la bottiglia dei 150 anni dell’Unità D’Italia”. Un progetto che coinvolge quaranta vitigni autoctoni destinati alla creazione di un vino rosso e uno bianco. Per occasione sono stati selezionati 20 vitigni a bacca rossa e 20 vitigni a bacca bianca, uno per ogni regione, scelti in base alla rappresentatività dagli Assessorati regionali all’Agricoltura. Un’apposita commissione di enologi ha provveduto ha stabilire le percentuali opportune per vini scelti. In rappresentanza della Campania anche i grandi vitigni irpini: Aglianico, Fiano e Greco, protagonisti dei tre docg campani.


Zappullo Luigi
Martella Pantaleone
Daniele Ceratto

In cucina - Alla ricerca del tartufo nero

Fu un brigante il primo cercatore di tartufo: il suo nome era “Zi Angelo il tartufaio”. Mandato a Bagnoli in esilio, fu lui il primo cercatore di tartufo, anche se già nel 1600 si conosceva questo pregiato prodotto. Ci sono due tipi noti di tartufo: il tartufo bianco e il tartufo nero, prodotto tipico irpino molto diffuso nell’area di Bagnoli irpino.
Con l’inizio del XIX aumentarono i ricercatori ed il tartufo inizio a farsi apprezzare in Irpinia, a Napoli e persino Roma. Non mancano esemplari grossi che raggiungono il chilo. Nel 1932 ne fu regalo uno di un chilo e cinquanta grammi al re Vittorio Emanuele III, il quale ricompenso il tartufaro, con un orologio d’oro e una spilla anch’essa d’oro con su l’effige di Casa Savoia.

Gaetano D'Auria
Fortunata Fortunato

In cucina - Alla tavola del re



Stufati, arrosti, cacciagione, bagna cauda. I piatti sulla tavola del re Vittorio Emanuele II  erano abitualmente cibi popolari di tradizione regionale. Il re che nel privato era considerato poco elegante e disinvolto in quanto a posate e tovaglioli, nelle occasioni pubbliche aveva bisogno di un severissimo autocontrollo. Come racconta il conte Elenry d’Ideville, segretario della legazione francese a Torino: "ll re è sobrio, mangia una sola volta al giorno, ma abbondantemente e preferisce i cibi grossolani e popolari. Quando è costretto ad assistere a un banchetto ufficiale, a un pranzo di Corte, non svolge nemmeno il tovagliolo, non tocca convitati, senza cercar di nascondere l’impazienza e la noia”. Tra i piatti che il re amava di più c’erano i tajarin (pasta fresca lunga e sottile) selvaggina al civet o alla brace (un piatto di cacciagione) , uova sode servite servite tritate con il condimento di prezzemolo e olio e il gran bollito, piatto forte della cucina piemontese.


Annunziata Carratù
Maria Senescente
Lucia Rinaldi
Antonietta Orvieto