lunedì 28 febbraio 2011

Storia - L'Italia è femmina

     Anita Garibaldi




Il contributo delle donne nel Risorgimento è stato frequentemente sottovalutato. In realtà esse hanno svolto un ruolo da protagoniste, impegnandosi in vari modi, anche a rischio della loro vita, per promuovere gli ideali risorgimentali. Appartenenti ha diverse estrazioni sociali, si dimostrarono volitive, determinate, con idee e progetti da costruire, impegnate non solo nelle cospirazioni ma anche nelle vere e proprie battaglie, in gere con funzioni di organizzatrici e infermiere.
Una delle tante eroine del Risorgimento fu Anita Garibaldi e non solo per il grande cognome del marito. "L'eroina dei due mondi", così come veniva chiamata, fu una di quelle che imbracciò il fucile, combattendo come un uomo per sotenere il fuoco avversario.




Giuseppe e Anita Garibaldi in fuga dopo la fine della Repubblica Romana (1849)




Se gli uomini del Risorgimento furono i protagonisti dell'unione politica del Paese, le donne, nell'ombra, operarono per costruire l'unità sociale e culturale della nuova e giovane Italia. Con grande coraggio avviarono la prima riflessione sulla condizione femminile e con il contributo dei primi giornali femministi, cominciarono ad elaborare una nuova libertà della donna più consapevole.
Tra queste donne c'era anche Cristina Trivulgio Belgiojoso, una patriota italiana, ch partecipò attivamente al Risorgimento. Fu editrice di giornali rivoluzionari, scrittrice e giornalista. Un commento che proprio quest'ultima scrive è degno di essere letto: "Vogliono le donne felici ed onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto tratto il pensiero ai dolori ed alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono le vie alla non mai prima goduta, forse appena sognata, felicità".



Gerardina Trifone

giovedì 24 febbraio 2011

Cinema - Il Risorgimento visto dal grande schermo

La locandina di “Senso”, regia di Luchino Visconti


“Noi credevamo” di Mario Martore è un famoso film tra i più recenti che parlano del Risorgimento italiano. Questa pellicola drammatico che parla di un’ Italia da sempre divisa in due e dello scontro tra autoritarismo e democrazia, osserva gli esiti del processo che ha portato all’unità d’Italia. A raccontare il Risorgimento e i valori che portava con sé anche “Senso” di Luchino Visconti, un film ambientato durante la guerra italo-austriaca del 1866. Nella pellicola una contessa veneta tradisce la causa della liberazione nazionale per amore di un vile ufficiale austriaco.
Infine un'altra pellicola molto conosciuta “Nell’anno del Signore” di Luigi Magni, con  Nino Manfredi, Alberto Sordi e Claudia Cardinale la cui trama,che è tratta da una storia vera, narra dell’esecuzione capitale di due carbonari nella Roma papalina. I due rivoluzionari, Leonida Montanari, romano, e Angelo Targhino, modenese, hanno infatti accoltellato un loro adepto di famiglia nobile che minacciava di svelare i segreti della Carboneria, per questo motivo vengono poi condannati alla ghigliottina in piazza del Popolo.
Grazia Pisano
Rachele Tessitore
Antonella Giannattasio

Costume - Vestire nel XIX secolo

Abito femminile del XIX secolo

Cappello femminile
Vanitose, frivole e attente all’aspetto fisico. Le donne dell’Ottocento passavano molto tempo a curare la propria immagine. Le donne della ricca borghesia e quelle aristocratiche indossavano gonne "a cupola", con corpetto "a scollo sciallato" a maniche a tre quarti, guarnite da volant. I capelli venivano portati raccolti con boccoli (gli "anglaises") lasciati cadere sulle orecchie. Molto diffusi anche le chiome arricciate a "nodo di giraffa".
La moda Secondo Impero è quella della corte dell' imperatrice Eugenia.
Queste dame dell’Ottocento, desiderose di apparire belle in pubblico e di conquistare il cuore dei loro pretendenti, acconciavano i capelli con la scriminatura centrale, portati sciolti lungo il viso, raccolti dietro da chignon bassi.
La gonna "a campana" piena di fiocchi, nastri, fiori, viene dilatata grazie a crinoline (una sottogonna rigida che sosteneva e rendeva gonfie le gonne).L'abito davanti era molto semplice, raccogliendo l'ampiezza sul centro posteriore, rigonfio e ornato di pizzi, grossi nodi di stoffa e merletti.
Nel 1885 venne lanciato il primo costume tailleur cioè un indumento completo composto da due pezzi da una giacca e da una gonna o da pantaloni, indossato dalla principessa del Galles.
I cappelli di fine Ottocento erano bizzarri  e fantasiosi con veli, piume, uccelli, persino frutta e verdura. L’abbigliamento era arricchito da vari accessori come: ventagli di piume di struzzo, guanti e ombrellini, indispensabili mancare nell'abbigliamento di una dama dell’Ottocento.
Molto più semplice invece l’abbigliamento maschile. Dato che la nuove etica borghese del lavoro esigeva una certa serietà anche nel vestire, l’uomo indossava l’uniforme borghese, cioè giacca, gilet e pantaloni scuri, mentre la donna, più libera dagli impegni quotidiani, vestiva abiti scomodi, voluminosi e costosi, per mettere in evidenza le buone condizioni economiche  che le permetteva il marito.
I pantaloni cadevano tesi, trattenuti da una staffa da inserire sotto al piede. Diffuso l'uso del cilindro, i baffetti e la cravatta che sarà l'unico tocco di colore contrapposto all'abito nero borghese. Diffusissimi i soprabiti come il "Carrick", lungo fino ai piedi, in gran voga ai primi dell'Ottocento, caratterizzato da più baveri sovrapposti a forma di mantellina.

Nunzia Carratù
Lucia Rinaldi
Maria Senescente
Antonietta Orvieto

giovedì 17 febbraio 2011

In cucina - La tavola che ha unito l’Italia


 
Fin dal 29 luglio 1953 la cucina italiana prendeva un posto importante nella storia e nella cultura, infatti fu creata “l’accademia italiana della cucina”, fondata a Milano nell’Hotel Diana. Anche se negli anni passati gran parte della popolazione aveva problemi di sussistenza  e il privilegio  di scegliere cosa e come mangiare era riservato a poche persone. L’elemento più rappresentativo della nostra della nostra nazione  sono  i piatti e le tradizioni italiane. Ed è proprio al celebre “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi si deve l’unità d’Italia  in cucina, visto che molti piatti descritti dall’Arturisi sono frutto di un mix delle diverse esperienze regionali  che oggi sono il simbolo del nostro paese. In un momento di grande diffusione della cucina esotica, si conferma la voglia  di una cucina autenticamente sana, in puro stile mediterraneo. Perché è alta la fiducia  dei consumatori  nei confronti del Made in Italy  e c’è  bisogno della garanzia  della bontà, della freschezza e dei  maggiori  controlli. Una cucina  italiana intesa come modello unitario non è mai esistita ma piuttosto unita da diversi generi e tradizioni. 

Alessandra Pierri 
Michela Landi

In cucina - L'eroe dell'unità: il Marsala

Fu il Marsala a salvare l’unità d’Italia. Come? Era l’11 maggio 1860, quando i Borbonici e i Garibaldini si trovarono al porto di Marsala. L’esercito napoletano era pronto a fare fuoco con i propri cannoni sulle navi garibaldine: il Piemonte e il Lombardo, ma un evento imprevisto evitò la carneficina. Al porto di Marsala oltre ai Borbonici e i Garibaldini c’erano anche gli Inglesi ed è stato proprio grazie a loro che oggi esiste l’unità d’Italia, perché l’esercito napoletano non volendo colpire le navi inglesi, mentre caricavano il Marsala per importarlo altrove, decisero di riporre le loro armi. Una volta unita l’Italia, Garibaldi decise di risalire fino a Roma per liberarla. Quando arrivò nella città chiese di assaggiare il vino che aveva reso molto famosa questa città. Rimase colpito dal sapore dolce di una qualità ancora in lavorazione tanto che in suo onore  quel vino fu chiamato “Garibaldi dolce”.

Carmen Orsini
Gerardina Trifone
Antonella Giannattasio

Musica - “Addio mia bella addio”




“Addio mia bella addio”. Queste  parole risuonavano sulle bocche dei volontari che nel 1848 partivano per il fronte per unire l Italia. Il canto di Bosi, nato durante il Risorgimento italiano,  in seguito entrò a far parte della tradizione popolare, cantato poi in tutte le guerre che seguirono. I soldati si aiutavano e incoraggiavano con la musica che costituiva per tutti un linguaggio comune e non si badava molto all’origine borbonica o papalina dei compositori di quei tempi.
A esaltare gli animi dei combattenti e del popolo che lottava per un Italia unita c’era anche la musica di Verdi.
Nel 1847 a Londra il noto musicista  incontra Giuseppe Mazzini che lo invita a comporre un inno con i versi di Goffredo Mameli , “Suona la tromba”. Ad esso segue  “La battaglia di Legnano”, dove l’espulsione di Federico Barbarossa simboleggia la cacciata, da parte degli italiani, degli stranieri dal paese. Quando però i movimenti rivoluzionari del 1848 sfociano in un bagno di sangue e l unità sembra un obiettivo lontano, Verdi si allontanerà dalla linea di battaglia e tornerà ad essere, soltanto un compositore che continua a sperare in privato nella libertà nazionale però in realtà lasciando il campo di battaglia resta solo un eroe a metà.

Rachele Tessitore
Grazia Pisani

sabato 12 febbraio 2011

Cultura - De Sanctis e l’Unità d’ Italia: a Roma i manoscritti inediti

Nell’occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia torna a rivivere tra noi Francesco  De Sanctis, un’illustre rappresentante irpino della cultura italiana del XIX secolo.  Nella sua vita è stato uno scrittore e critico letterario, dal 22 febbraio 2011 le sue opere  verranno esposte a Roma, nel palazzo del Quirinale. In mostra manoscritti inediti nell’esposizione “Viaggio tra i capolavori della letteratura italiana, Francesco De Sanctis e l’Unità d’Italia”. L’esposizione seguirà una suddivisione cronologica dalla poesia delle origini duecentesche a Dante, Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, Ariosto,Tasso fino a  Leopardi. 

Saverio Santoriello
Gerardo Picarella

In cucina - L'unità in un calice di vino

 
Sarà presentata al prossimo Vinitaly dal 7 al 11 aprile 2011 a Verona “la bottiglia dei 150 anni dell’Unità D’Italia”. Un progetto che coinvolge quaranta vitigni autoctoni destinati alla creazione di un vino rosso e uno bianco. Per occasione sono stati selezionati 20 vitigni a bacca rossa e 20 vitigni a bacca bianca, uno per ogni regione, scelti in base alla rappresentatività dagli Assessorati regionali all’Agricoltura. Un’apposita commissione di enologi ha provveduto ha stabilire le percentuali opportune per vini scelti. In rappresentanza della Campania anche i grandi vitigni irpini: Aglianico, Fiano e Greco, protagonisti dei tre docg campani.


Zappullo Luigi
Martella Pantaleone
Daniele Ceratto

In cucina - Alla ricerca del tartufo nero

Fu un brigante il primo cercatore di tartufo: il suo nome era “Zi Angelo il tartufaio”. Mandato a Bagnoli in esilio, fu lui il primo cercatore di tartufo, anche se già nel 1600 si conosceva questo pregiato prodotto. Ci sono due tipi noti di tartufo: il tartufo bianco e il tartufo nero, prodotto tipico irpino molto diffuso nell’area di Bagnoli irpino.
Con l’inizio del XIX aumentarono i ricercatori ed il tartufo inizio a farsi apprezzare in Irpinia, a Napoli e persino Roma. Non mancano esemplari grossi che raggiungono il chilo. Nel 1932 ne fu regalo uno di un chilo e cinquanta grammi al re Vittorio Emanuele III, il quale ricompenso il tartufaro, con un orologio d’oro e una spilla anch’essa d’oro con su l’effige di Casa Savoia.

Gaetano D'Auria
Fortunata Fortunato

In cucina - Alla tavola del re



Stufati, arrosti, cacciagione, bagna cauda. I piatti sulla tavola del re Vittorio Emanuele II  erano abitualmente cibi popolari di tradizione regionale. Il re che nel privato era considerato poco elegante e disinvolto in quanto a posate e tovaglioli, nelle occasioni pubbliche aveva bisogno di un severissimo autocontrollo. Come racconta il conte Elenry d’Ideville, segretario della legazione francese a Torino: "ll re è sobrio, mangia una sola volta al giorno, ma abbondantemente e preferisce i cibi grossolani e popolari. Quando è costretto ad assistere a un banchetto ufficiale, a un pranzo di Corte, non svolge nemmeno il tovagliolo, non tocca convitati, senza cercar di nascondere l’impazienza e la noia”. Tra i piatti che il re amava di più c’erano i tajarin (pasta fresca lunga e sottile) selvaggina al civet o alla brace (un piatto di cacciagione) , uova sode servite servite tritate con il condimento di prezzemolo e olio e il gran bollito, piatto forte della cucina piemontese.


Annunziata Carratù
Maria Senescente
Lucia Rinaldi
Antonietta Orvieto